Acqua di plastica: la vita sociale e materiale dell’Acqua in bottiglia segue l’excursus di questo prodotto apparentemente banale fin dal suo inizio, nel 1970, al suo evolversi fino a diventare un mercato globale da miliardi di euro, e le conseguenti (e in molti casi sacrosante) reazioni da parte di comunità e attivisti ambientali.
La dottoressa Emily Potter, Professore presso la facoltà di Comunicazione e Arti Creative della Deakin University di Melbourne, ha spiegato che l’acqua in bottiglia è una cosa molto diversa a seconda del contesto: “la stessa bottiglia di acqua in PET può esistere come prodotto, risorsa personale, rifiuto da riciclare, e molto di più. Il nostro intento è analizzare l’attività delle multinazionali dell’acqua in bottiglia: da come si presentano al pubblico e, nella fattispecie, il modo in cui il loro “marketing sociale” sta plasmando nuove relazioni tra consumatori e brand”.
L’acqua in bottiglia è un enorme business stimato in circa 150 miliardi di euro di vendite annuali in tutto il mondo, che lo rendono un argomento di discussione tanto affascinante quanto controverso. Risultato di un ampio studio internazionale, Acqua di plastica esamina come e perché L’acqua in bottiglia “di marca” si è insinuata nella nostra vita quotidiana e l’impatto che ha tanto sulla nostra salute, quanto sulla sicurezza dei rifornimenti idrici urbani.
“La mercificazione dell’acqua ha fatto sì che le popolazioni di moltissime città soffrano di una penuria d’acqua, perché quella stessa acqua anziché arrivare nei rubinetti delle loro case, viene imbottigliata dalle multinazionali e rivenduta a quegli stessi cittadini a peso d’oro”. Spiega la dottoressa Potter.
“Tutti questi fattori giocano in quello che è il nostro principale obiettivo, ovvero cercare di capire come le quote di mercato dell’acqua in bottiglia siano cresciute in modo tanto esponenziale, e quanto la politica abbia inciso in questa crescita. In questo senso l’ascesa del ‘culto dell’esercizio fisico’ negli anni ‘70 ha fatto sì che le bottigliette d’acqua diventassero un vero e proprio status symbol.Questa esigenza di ‘idratazione costante’ oltre ad essere una necessità reale, è stata abilmente trasformata in una moda:nell’immaginario collettivo avere bottiglia d’acqua in mano simboleggia impegno per una vita sana”, ha detto la dottoressa Potter.
“Da allora, la rapida espansione del mercato ha visto lo sviluppo di marchi di prestigio che cercano di collocare il prodotto come un bene di lusso. Per esempio, Claridge a Londra propone un ‘menù d’acqua’ e una società denominata ‘Bling Water’ produce bottiglie con cristalli Swarovski incastonati, vendendole ad oltre 50 dollari a bottiglia.”
Coca Cola Amatil (CCA), uno dei più forti concorrenti nell’affollatissimo mercato dell’acqua in bottiglia, ha un ruolo da protagonista nel libro. “La loro capacità di piazzare l’ acqua in bottiglia su mercato è davvero notevole – spiega la dottoressa Potter – ad esempio, alcuni osservatori sostengono che, nel 2007, CCA abbia ottenuto un intervento del governo federale del nord dell’Australia al fine di posizionare l’acqua in bottiglia nelle comunità indigene. Basti pensare, poi, che alcuni gruppi religiosi ed evangelici sono stati condannati per aver utilizzato l’acqua in bottiglia come strumento per operazioni non propriamente “trasparenti”, per non dire opportunistiche, nel corso di alcune opere missionarie”.
La dottoressa Potter è cauta quando si tratta di discutere i produttori di acqua in bottiglia che si collegano con gruppi filantropici: “Così come la critica al settore dell’acqua in bottiglia è cresciuta perché la gente ha finalmente aperto gli occhi, allo stesso modo sempre più aziende cercano di controbattere al fine di mantenere una percezione il più possibile positiva del loro prodotto, per esempio, è di lunga tradizione la partnership di Mount Franklin con la Fondazione McGrath”.